Murle

Chiesa di Murle

La chiesa di Murle ha suscitato l’interesse degli storici in quanto viene considerata la più antica della parrocchia di Pedavena e, pur avendo avuto opere di mantenimento nei secoli, ha conservato quasi completamente le caratteristiche iniziali.

È costituita da un’aula per ospitare i fedeli, una zona absidale, una piccola sacrestia e il campanile. Sullo stipite esterno della porta laterale è scolpita la data del 1470 che si presuppone la data di costruzione; lateralmente, sempre all’esterno, sono ben visibili due ampie finestre ad arco murate.

Sull’acquasantiera in pietra troviamo quella del 1550, sulla lapide sopra la porta l’anno della consacrazione 1621. Sul campanile si legge 1584 che corrisponde anche all’anno inciso nel campanile della chiesa di Pedavena, coincidenza non chiarita negli scritti.

 

 

 La chiesa è di piccole dimensioni in rapporto alla popolazione di oggi nella frazione, ma dalla testimonianza di don Pellin, arciprete dal 1776 al 1816, risultavano all’epoca “appena 104 anime esclusi servi ed erranti senza recapito” mentre a Pedavena centro erano 392.

Nel tempo la chiesa è stata utilizzata per diverse necessità, ed è stata anche luogo di assemblea comunale e più recentemente sala di esposizione della mostra di stendardi presenti nella parrocchia.

Curiosamente ci si avvede che il prezioso e colorato lampadario di Murano non pende dal centro dell’aula e per accedere alla cantoria esiste una botola senza scala.

In una nicchia laterale è posta una scultura tridimensionale della Vergine; molto più suggestiva è in un’altra nicchia chiusa dal vetro un’antica rappresentazione in cera di piccole dimensioni e con vesti dorate di una Madonna incoronata con Bambino e oggetti votivi.

Altri ex voto dipinti e di modeste dimensioni sono conservati nella sacrestia; un P.G.R. in particolare, olio su tela montata su tavola, mostra in modo ingenuo un carro ribaltato sotto il quale una persona si dispera mentre uno dei conducenti alza le braccia al cielo invocando S. Antonio Abate che appare su una nuvola.

L’altro quadretto datato 1882 mostra l’intercessione di S. Antonio da Padova per un uomo caduto dal terzo piano. Ciò sta a dimostrare la sentita devozione per questi Santi contitolari della chiesa.

Nella zona presbiteriale, riservata al clero officiante, troviamo l’unico altare della chiesa, con il prezioso paliotto nella parte anteriore, dipinto e visibile da tutti, raffigurante S. Antonio Abate inserito in un tondo e con raffinate decorazioni ai lati.

Dietro l’altare è posto il tabernacolo seicentesco finemente intagliato con sopra la pala attribuita a Pietro de Marascalchi, e ai lati tre affreschi di Lot Bruna.

La pala d’altare o ancóna (immagine), olio su tela cm.225×127, è nominata già nel 1588 appartenente a questa chiesa dal Vescovo Rovellio in una visita pastorale.

Per un pittore del Cinquecento avere la commissione da parte di un religioso o di privati di una pala, soprattutto per l’altare maggiore di una chiesa, rappresentava il successo e un buon elemento di pubblicità. La pala era un richiamo, come un punto di collegamento tra il fedele e quello che rappresentava il simbolo raffigurato.

Si stipulava un contratto scritto tra il pittore e il committente che talvolta si faceva anche ritrarre nell’opera. Grazie a questi contratti, molte opere hanno avuto paternità ed epoca storica anche a distanza di secoli.
Questa pala, opera giovanile, ha una struttura compositiva simmetrica tipica del periodo: la Madonna col Bambino seduta in trono nella parte alta e ai lati S. Antonio Abate e S. Antonio da Padova. La Vergine, inscrivibile in una forma ovale, rivela schemi già presenti in Raffaello e altri artisti famosi; il drappo verde alle spalle blocca lo spazio avvicinando l’immagine all’osservatore

. Ai piedi della Madonna un alto basamento con decorazioni ha al centro un clipeo (scudo tondo) con Cristo. Più in basso, su di un gradino, un angioletto musicante.


S. Antonio Abate, a sinistra, viene rappresentato vestito da un saio da frate e con una lunga barba bianca, mentre si regge aiutato da un bastone a forma di T/tau e scuote un campanello. Ai piedi un fuoco ci ricorda che è il protettore anche degli ammalati di herpes zoster. Non è presente il maialino caratteristico per cui è detto anche “del porzèl”, cioè protettore degli animali. Nato nel 251 ca. e morto nel 356 nel deserto di Tiberiade all’età di 105 anni, eremita egiziano, patriarca del monachesimo, il Santo è festeggiato il 17 gennaio, giorno della sua morte.


S. Antonio da Padova, a destra nella pala, offre alla vergine il classico giglio bianco e tiene nell’altra mano il libro, in quanto insegnante di teologia e predicatore. Qui è rappresentato giovane perché ebbe vita breve: nacque a Lisbona nel 1195 e morì a Padova il 13 giugno del 1231. Grande ovunque la devozione al Santo, che veniva invocato anche nella preghiera del “Si queris” per ritrovare oggetti smarriti.

Nel 1994, in una delle ultime analisi del quadro in vista del necessario restauro, si accertò che la superficie originale era stata coperta da uno spessore omogeneo di ridipintura eseguita in tempi recenti che aveva modificato in alcune zone l’opera, fortunatamente con colori facilmente reversibili.

Il restauro eseguito dalla Ditta Arlango ha finalmente recuperato per quanto possibile i colori originali e ci ha dato varie informazioni: la tela usata è formata da due pezzi a trama semplice sottile compatta cucita lungo la metà verticale; su di essa il pittore ha steso uno strato di gesso e colla e un’imprimitura di colore grigio per far evidenziare i toni e l’intensità della lacche colorate; la pellicola pittorica è formata dalla sovrapposizione di velature trasparenti e brillanti di colori puri. Il pittore, per esaltare l’effetto visivo delle aureole, ha utilizzato una tecnica tipica del dipinto su tavola, cioè la doratura a missione che consiste nello stendere uno strato di collante e, una volta asciugato, applicare la foglia d’oro o la polvere d’oro.

L’oro non si corrode e l’opera si conserva nel tempo. Più resistenti alla pulitura sono risultati le stuccature e i ritocchi oleosi che hanno richiesto l’impiego del bisturi. Il restauro è stato completato dalla stesura di una resina termoplastica per consolidare i colori e dai soli ritocchi necessari per non alterare la lettura dell’opera.

Molti sono gli storici dell’Arte feltrini e nazionali che si sono occupati recentemente del pittore de Marascalchi. La maggior parte indica come data di nascita il 1522 poiché “lo strumento dotale” della madre porta la data del 17 luglio 1521.

La famiglia de Marascalchi, agiata, così chiamata per l’attività del capostipite, venne a Feltre da Soligo nel 1368. Il pittore, soprannominato Lo Spada in quanto nello stemma di famiglia compariva quest’arma in un braccio armato, fu avviato agli studi da uno zio notaio nel periodo in cui Feltre veniva ricostruita e abbellita da pregevoli pitture sia nella parte interna che in quella esterna degli edifici.

Le testimonianze storiche riferiscono che avesse l’interesse per il canto e la musica, per la pittura del Luzzo e sicuramente per i Bassanesi. Non si allontanò dal Veneto per approfittare dei grandi di quell’epoca, per cui la sua Arte rimase circoscritta, eccellendo sia in pittura a olio che ad affresco.

Rimangono opere di sicura attribuzione, visibili anche nel duomo di Feltre dove il pittore fu sepolto insieme ad altri della sua famiglia e la pietra tombale è ben leggibile a destra dell’ingresso principale.

 Nella parete di fondo, dietro l’altare, sono dipinti in tre distinti affreschi altrettanti frati, opere di Lot Bruna, il quale ha evidenziato i segni distintivi di ciascuno, completando i lavori con sfondi feltrini per attualizzare il rapporto tra il fedele e l’ambiente che lo circonda.

San Francesco d’Assisi (Assisi 1181/82-1226) è raffigurato sulla parete di destra, con le stigmate, il tradizionale crocifisso in mano e tre oranti sul fondo.

Figlio del mercante di stoffe Pietro Bernardone, nel 1205 si convertì e rinunciò alle ricchezze; nel 1210 il Papa riconobbe la regola dei Frati Minori; nel 1224 il Santo ricevette le stigmate; l’anno seguente compose il Cantico delle Creature e nel 1226 morì alla Porziuncola.

S. Felice da Cantalice – Rieti (1515 ca.-1587) porta un sacco in quanto era questuante a Roma e raccoglieva pane vino e olio per i bisognosi.

Uscì incolume dal passaggio di un carro sul suo corpo e diventò famoso per i miracoli. Fu ritratto anche da Rubens durante il suo soggiorno romano.

Beato Bernardino (Feltre 1439-Pavia 1494) si distingue per i tre monti che regge in mano.

Figlio di nobili facoltosi di Feltre, padre Tomitano e madre Rambaldoni, di costituzione minuta e di salute cagionevole, studiò diritto e, divenuto frate, fu predicatore erudito e difensore convinto dei deboli sfruttati dagli usurai.

Per prestare piccole somme a bassissimo interesse fondò i Monti di Pietà (ecco spiegato il simbolo in mano).

Nel tempo ci sono stati piccoli lavori di conservazione della chiesa onerosi per la piccola comunità.

Si legge, però, che nel 1877 il signor Furlan Domenico Zaccaria di Murle, avendo fatto fortuna in America come cuoco, mandava 14 marenghi per il restauro della chiesa.

Con quel denaro si staccò l’altare dalla parete e si costruì l’orchestra. 

La festa patronale si festeggia il 17 Gennaio

Fonti Prof. F. Chiarello